Giacomo 23 anni dall’età di 14 consumatore di cannabis, sin da bambino sente forte un senso di solitudine che si acuisce quando i genitori decidono di cambiare vita ed andare a vivere dal centro della Capitale in una zona isolata della campagna romana, cosa che genererà nel ragazzo una sorta di inquietudine cui darà sfogo con i primi consumi di sostanze.
“Faccio subito un esempio, la prima cosa che mi è successa è lasciarmi con la ragazza che frequentavo perché vederci era praticamente impossibile, la zona dove mi avevamo portato a vivere non era servita da mezzi pubblici di trasporto. La cosa, essendo adolescente, mi ha molto colpito e ho iniziato ad usare cannabis per anestetizzarmi, ma il consumo era tale che ho dovuto iniziare anche a spacciare per comprarla. Come succede spesse volte in questi casi vengo beccato dalla Polizia e messo agli arresti domiciliari all’età di 17 anni. Ero minorenne quindi mi hanno dato solo un mese e mezzo, così per passare il tempo ho iniziato a chattare sui social, facendo in particolar modo amicizia con un ragazzo che viveva in centro Italia e che per assurdo che possa sembrare, diventò il mio migliore amico. Non so bene il perché, forse eravamo attratti da uno stile di vita legato allo sballo, alla possibilità di finanziarci con lo spaccio e poter partecipare ad eventi estremi come i rave.”, racconta Giacomo che prosegue:
“Appena maggiorenne mi sono allontanato da Roma per raggiungerlo e fare quella vita che volevamo. Otto mesi assurdi dove ho abusato anche di eroina fumata, spendendo tutti i soldi che avevo. Così i miei genitori preoccupati mi sono venuti a riprendere per riportarmi a casa. Avevo 19 anni e alle spalle una disastrosa prima esperienza di abuso ed il mio senso di isolamento aumentava a dismisura. Tornato in quella che vivevo come una prigione, sono stato 2 settimane malissimo in preda all’astinenza e tanto per fare l’ennesimo errore, mi sono riavvicinato ad un amico che era finito ai domiciliari per spaccio e che mi ha fornito sostanze.”
Le esperienze di Giacomo sembrano come un vortice che porta all’autodistruzione, senza che nessuno possa porre un freno alla situazione, la spinta verso il consumo patologico ormai è totale:
“Il mio amico ai domiciliari mi ha fatto conoscere alcuni ‘amici’ di Ostia che mi hanno instradato a fumare la cocaina, che ti rende paranoico e folle, tanto da spingermi a fare rapine e reati contro le persone. Ero fuori controllo ma anche questa volta a fermarmi è stata la Polizia che mi ha portato a Regina Coeli ormai ventenne. Dopo pochi giorni esco, ma un altro evento peggiora la situazione: il mio amico muore per un tumore e la cosa mi sciocca a tal punto da farmi decidere di rinchiudermi in casa.”
Giacomo a seguito dello shock per la perdita dell’amico, decide di chiudersi in quella casa dei genitori tanto odiata e di creare distanze dal mondo e dalla vita che faceva prima, ma lo fa sempre in maniera patologica, interrompendo la sua vita sociale per 3 anni. A peggiorare la situazione c’è l’idea di voler produrre cannabis in modo autonomo, coltivando personalmente le piantine ed essiccandone le foglie.
“Produrre ed avere a disposizione cannabis per come la vedevo io era terapeutico, il consumo costante mi faceva stare meno male rispetto a tutti i casini che avevo fatto. La vita si svolgeva così: sveglia alle 11 e una canna dietro l’altra fino a notte fonda quando crollavo ormai stordito. I miei genitori all’inizio erano contenti della mia autoreclusione visti i reati che combinavo quando uscivo fuori casa, pensando di potermi aiutare avendomi sempre lì, ma il tempo passava e io peggioravo. Ogni tanto mi venivano a trovare delle amiche, ma per il resto pensavo solo a fumare per sopprimere i mostri che avevo dentro, cosa che invece inconsciamente stavo solo alimentando.”
La folle vita di recluso di Giacomo si interrompe con un controllo della Polizia che scopre la coltivazione illegale. Nuovi guai giudiziari lo aspettano, oltre al problema della dipendenza che rimane, così spinto anche dalla famiglia ormai esasperata, decide di entrare in cura a Villa Maraini. Per di più la famiglia porta Giacomo a fare un controllo neurologico e scopre che le canne avevano fatto molti danni al suo cervello, che si potranno forse risolvere, vista la giovane età del ragazzo, ma con l’interruzione del consumo e senza certezza che la cosa torni come prima.
“Mi rimane la convinzione che le canne mi diano quella tranquillità di cui ho bisogno, sedando la rabbia che mi scoppia dentro spesse volte e che mi potrebbe portare a fare cose molto brutte. Venire a Villa Maraini in un quartiere centrale e lontano dal mio dove ho solo brutti ricordi, mi fa stare bene, non sento angoscia pur avendo diminuito il consumo da 40 canne al giorno a 3-4. Frequento da un anno e sono stato ospite in un paio di servizi. Mi sono fatto amici tra gli utenti, mi sento a casa. Di fondo mi resta una paura: che dopo tanti errori non ci siano più soluzioni per poter cambiare davvero. Ora sono in cura al Centro di Prima Accoglienza dove mi stanno ‘contenendo’, cosa non facile e questa è la mia aspettativa per ora, limitare i danni che mi posso fare.”
Il futuro di Giacomo è ancora segnato dagli errori del passato, nonostante abbia solo 23 anni, sta aspettando altre condanne, ma come dice con le sue parole:
“Questo mi spaventa meno di quanto mi spaventa la solitudine. Vorrei provare a farla finita con le canne e spero di ritrovare quella libertà fisica e mentale che avevo prima dell’abuso. Per far capire quanto ti cambia la droga ogni tanto penso che stare in carcere sarebbe forse meglio che stare solo in casa. Quindi quello che accadrà lo prenderò come viene senza ulteriori drammi. Poi ora so che posso contare su mia madre e mio padre che stanno partecipando al gruppo genitori di Villa Maraini, per capire meglio come potermi aiutare e contenere qualunque altra cosa succeda.” conclude Giacomo.
a cura di Stefano Spada Menaglia
Area Comunicazione Fondazione Villa Maraini