“E’ iniziato tutto a 16 anni dalla voglia di far parte di un gruppo della “Roma bene” dove quasi tutti ‘pippavano’ cocaina, così una sera in discoteca mi venne offerta e io accettai. L’euforia che ho provato non mi è stata tanto data dalla sostanza, che all’inizio non ti dà nulla, ma dal contesto in cui ero e con chi la stavo consumando. L’ho vissuto come un modo per ‘emanciparmi’ e fare parte di qualcosa di più importante. Quando poi col passare degli anni inizi a capire la cocaina che effetti provoca, è troppo tardi, ne sei già dipendente.”

Michele 40 anni, in cura presso il servizio SPOT di Villa Maraini, ci racconta la sua storia di dipendenza che parte dall’età di 16 anni.  Nato in una famiglia di classe operaia della Capitale, con un fratello e una sorella, una volta diplomato come perito elettronico vince un concorso per lavorare in una compagnia aerea, divenentando tecnico aereonautico a 23 anni. Contestualmente però porta avanti il consumo di cocaina che lo spinge, come avviene nella maggior parte dei casi, a spacciare per alimentare la propria dipendenza.

“In questo periodo iniziavo a spacciare sia per il mio benessere economico che per risultare più grande e riconosciuto come un ‘vincente’ nel famoso gruppo di ‘pariolini’ oltre che per avere la droga sempre a disposizione. Sono stato sempre intraprendente e pieno d’idee e quindi dopo aver iniziato a lavorare per la compagnia aerea,  potendo girare tutto il mondo, mi sono organizzato per iniziare un’attività di spaccio ‘high level’: sono andato in Sud America e ho preso contatti con i cartelli della droga, imparando a parlare spagnolo oltre all’inglese. Ero consapevole del pericolo, ma venivo dalla ‘strada’, anche se ero consapevole che la ‘strada’ in quei paesi è decisamente più pericolosa di quella romana, ma la droga mi dava coraggio. Non ho fatto mai sciocchezze e mi sono salvato la vita. C’era tutta un’organizzazione che mi faceva arrivare la droga a Fiumicino, così dal 2000 è partita una fase della mia vita dove ho visto guadagni importanti ma soprattutto fiumi di cocaina da poter consumare ‘no limits’.” Michele prosegue il suo racconto precisando che nel 2001 si sposa con una donna inconsapevole della sua dipendenza e dei suoi traffici. Passare da una situazione di totale libertà nel consumo ad una in cui doveva limitarsi, senza poter consumare in casa, ha iniziato a creare i primi problemi aggravati dalla nascita di un figlio.

“Fino al 2006 sono riuscito a nascondermi tramite una valanga di bugie, fino a che non sono esploso decidendo di fare ‘outing’, anche se sinceramente non mi spiegavo come facesse mia moglie a non capire i miei traffici ed il mio stato,  visto il tenore di vita che avevamo non coerente con il mio stipendio e anche per il mio umore spesse volte altalenante. Risultato: stato di indifferenza totale di mia moglie verso la vita che conducevo, forse per l’incapacità di trovare una soluzione, o per la delusione oppure perché non voleva rinunciare allo stile di vita che avevamo.  Da lì ho capito che non mi avrebbe aiutato ad uscire da quella situazione e che dovevo allontanarmi e farcela da solo. Così decido per la separazione che è stata molto conflittuale a tal punto che mia moglie decide di togliermi la facoltà di vedere mio figlio, facendo leva sul fatto che ero ‘molto drogato’. Quando ho capito che la rabbia mi avrebbe potuto portare a fare gesti incontrollabili, ho scelto di andarmene a vivere in Colombia dove ho iniziato un nuovo percorso di vita, sempre fatto di consumo e spaccio. In quei 2 anni e mezzo sono tornato solo per il compleanno di mio figlio e per le feste comandate, sempre per poterlo incontrare, ma niente da fare, mia moglie non me la faceva vedere. Trovava scuse: malattia, la scuola etc. io avrei potuto far intervenire i Carabinieri per verificare se fossero reali questi ‘impedimenti’, ma ho scelto di non farlo per non creare traumi al bambino.”

La vita di Michele prosegue tra consumo compulsivo, anche per soffocare la mancanza del figlio ed il suo ‘lavoro’ di spacciatore internazionale fino a quando nel 2010, quando, tornato a Roma per il solito tentativo di visita al figlio, incontra un amico che gli racconta che il fratello, nel tentativo di fare il narcotrafficante, si era fatto sequestrare dagli uomini di un cartello della droga colombiana, per non aver pagato una consegna di droga. Io che avevo esperienza preso da un senso di pena verso quella persona, decido di intervenire facendo arrivare un carico a Fiumicino che una volta venduto sarebbe stato utile a pagare i debiti per liberare questa persona. Ma non avevo fatto i conti con i cambiamenti che negli anni c’erano stati con l’irrigidimento dell’antimafia che controllava molto di più porti e aeroporti così a arrestato a Gennaio 2011 vengo scoperto e arrestato. Arriva così il momento in cui capisco che bisognava cambiare vita, per fortuna mio figlio ha continuato a pensare che fossi in Brasile, ma proprio per lui voglio che le cose cambino. Dopo 6 mesi riesco ad andare a curarmi in una comunità ma avevo scelto una comunità che non mi ha dato nulla in termini di cura se non la possibilità di non stare in carcere e per di più mi arriva un nuovo mandato di cattura così mi riportano in carcere.”

Michele è di nuovo in carcere quando nel 2013 a Rebibbia incontra gli operatori di Villa Maraini, in quanto aveva chiesto di essere curato perché stanco della cocaina anche se:

“…in galera si sa che puoi trovarla comunque, ma io ero stanco e volevo proprio cambiare. In un primo momento mi dissero che a Villa Maraini c’era spaccio e che non mi avrebbero fatto nulla, ma poi conobbi un caro amico di mio padre che aveva fatto la Comunità Terapeutica proprio a Villa Maraini che mi rassicurò sul fatto che fosse una struttura molto seria. Così ho avuto colloqui in carcere con gli operatori del loro ‘Progetto Carcere’ durati circa 6 anni e nel 2019 ottengo dal giudice di essere inviato in Fondazione per finire la mia pena in un percorso di cura che terminerà a Settembre 2020.”

 

Ci sono stati 2 fatti importanti che hanno portato Michele a cercare l’aiuto di Villa Maraini e che hanno accelerato la voglia di cambiamento e aumentato la sua motivazione:

“Nel 2015 perdo mio fratello più piccolo, che consideravo quasi come un figlio, in un incidente stradale.  In Carcere quasi non mi rendevo conto che fosse possibile ma una volta uscito ho preso consapevolezza che non c’era più e ho capito che la droga invece c’era e mi aspettava al varco pronta ad insinuarsi nel mio dolore. Per fortuna sono stato più furbo perché non mi sono fatto ‘fregare’ dalla droga che ti dà l’illusione di aiutarti a superare il dolore, peccato che poi ti risvegli il giorno dopo ancora più depresso e con la necessità di dover trovare i soldi per pagare lo spacciatore. Così ho preso questo tragico evento come una motivazione in più per curarmi.” Prosegue Michele

“Avevo voglia di ricominciare anche perché avevo trovato una compagna che mi ha dimostrato davvero di credere in me e nella mia voglia di riscatto, tato che non ha mai mancato un colloquio in Carcere. Così nonostante la mia situazione ha deciso di accettare la mia richiesta di matrimonio che si è svolto proprio a Rebibbia.”

Michele prende seriamente il percorso di cura a Villa Maraini impegnandosi con gli psicologici a trovare un protocollo di cura che lo aiuti pienamente:

“La galera mi ha aiutato a capire che se volevo avere un futuro dovevo cambiare e Villa Maraini mi ha fatto capire come togliere ‘la strada’ da dentro di me. Ci sto ancora lavorando ma ce la sto facendo. Ora per risolvere i problemi li affronto, non cerco più di avere tutto e subito. Voglio faticare per arrivare al traguardo, non cerco di trovare scorciatoie, perché quando arrivi ti senti veramente realizzato e sai di aver fatto le cose per bene. Finita la condanna mi dedicherò ad un’attività commerciale che ho aperto insieme a mia sorella e mia moglie e che abbiamo dedicato a mio fratello morto, perché quando sei drogato non provi niente per nessuno, ma quando smetti e sei lucido riscopri la gioia di stare in famiglia e non ci vuoi rinunciare più.”

Rimane un ultima cosa da sistemare nella vita di Michele alla quale tiene tantissimo, il rapporto con il figlio:

“Quando sono entrato in galera c’era il cellulare iconico ‘Nokia 3310’, quando sono uscito ho trovato gli smartphone con app. per la messaggistica istantanea, che mi ha fatto scoprire la mia terapeuta a Villa Maraini. Beh sembra strano ma per me è stato importantissimo, perché mi ha dato la possibilità quotidianamente di scrivere a mio figlio, che non mi vuole vedere ma che mi risponde ai messaggini. Così posso sapere come stà, che si dice al liceo ecc.; sento che  ci possiamo riavvicinare e un giorno potrò rivederlo perché avrà accettato il mio invito,  allora potrò dimostrare di essere una persona diversa, un papà da godersi ‘on demand’, che dopo il percorso di cura può avere qualcosa da dare. Anche se ora non vuole io non cedo, perché lo amo e penso sia l’unica cosa bella che ho fatto nel periodo in cui ero tossicodipendente, quindi aspetto e cerco di meritarmi il suo perdono.”

a cura di Stefano Spada Menaglia

Area Comunicazione Fondazione Villa Maraini ONLUS