Luigi, 25 anni laureato in comunicazione ci racconta la sua storia di figlio di donna con problemi di dipendenza patologica da eroina e con il padre morto di overdose prima della sua nascita.

“Ho ricordi così a sprazzi della mia infanzia, penso di aver avuto 3 anni quando mi sottrassero a mia madre Vera, vivevamo in una casa disordinata con un cane che si aggirava come me vagabondo per le stanze senza una meta e ricordo il senso di solitudine che provavo, non potendo essere accudito perché lei ed il compagno erano storditi dalla sostanza cui non potevano rinunciare. Però almeno durante la gravidanza non aveva mai assunto sostanze per paura mi nuocessero, riprendendo però dopo pochi mesi dal parto. Così sua madre mi venne a prendere, insieme agli assistenti sociali, per portarmi via, ma come scontato che fosse ricordo che reagii male, cercando di allontanarla con una palettina giocattolo che avevo, senza capire che quella Nonna sarebbe diventata la mia Mamma.” Luigi ha deciso di condividere il racconto della sua vita proprio ora che Vera, sua madre naturale, è in cura a Villa Maraini, non per disintossicarsi, non tocca sostanze da oltre 5 anni, ma per capire come reinserirsi in un contesto sociale, dopo 35 anni di dipendenza e una vita spesa entrando e uscendo da comunità più o meno protette.

“La cosa più brutta che ricordo di prima che mi portarono via, fu quella volta che oggi so essere stata una violenza che mia madre ha subito in un parco romano dove era andata per trovare la droga. Mi aveva ovviamente portato, io giocavo sullo scivolo e ricordo d’averla vista d’improvviso a terra con un uomo sopra che le impediva di divincolarsi e gridare, così senza sapere cosa stesse accadendo ho reagito cercando di picchiarlo come può fare un bambino, ma il ricordo si interrompe lì e ricomincia nella Caserma dove eravamo stati condotti.” Prosegue Luigi:

“Come accade in questi casi sono stato affidato ad una casa famiglia dove ero circondato da bambini urlanti ma anche da educatrici simpatiche che cercavano di mantenerci allegri limitando il caos. Ricordo che eravamo spesso malati perché ci passavamo la febbre l’uno con l’altro e ricordo mia Nonna che veniva a prendermi saltuariamente fino a quando è arrivato il giorno fortunato in cui mi hanno assegnato definitivamente a lei. Arrivare nella villa di Nonna fuori Roma nel silenzio della campagna, lontano dal chiasso della casa famiglia, mi dava l’idea di stare in paradiso. Nonna si è rivelata subito affettuosa prendendo il ruolo di Mamma, ma al contempo severa, di quella severità che da subito capisci essere a fin di bene. Ho vissuto con lei nel periodo asilo, elementari e medie, poi per il liceo avevo più opzioni, potevo decidere di farlo lo stesso lì dove vivevamo alle porte della Capitale, oppure da mio Nonno che una volta divorziato era andato a vivere in Francia. Anche di lui ho un ottimo ricordo perché tornava spesso a trovarmi e anche se a distanza, mi parlava molto al telefono dandomi ottimi consigli. Alla fine per il liceo scelsi una scuola collegio a Roma, dove dal lunedì e venerdì potevo dormire e studiare e nel week end tornare a casa. Poi è arrivato il tempo dell’università fatta sempre a Roma e nell’ambito comunicazione visto che mio nonno è giornalista.”, spiega Luigi.

Intorno a Luigi, sin dall’età di 3 anni, si genera una rete di protezione fatta di assistenti sociali e la famiglia di Vera, con i Nonni e lo Zio che lo proteggono e cercano di farlo crescere più sereno possibile, ma facendolo restare sempre in contatto con la madre naturale.

“Io ho saputo che mia madre era tossicodipendente verso l’età di 7/8 anni, quando i miei Nonni un giorno mi hanno fatto sedere sul divano e pronunciando la fatidica frase ‘siediti e ascolta ti dobbiamo dire una cosa importante…’  mi hanno spiegato perché mamma era ‘strana’ e non si poteva prendere cura di me anche se mi amava: colpa delle droghe. La cosa non era facile da capire perché io non ho mai percepito questa cosa come un problema, forse perché i miei Nonni non mi hanno fatto mancare mai nulla o perché mi ero creato un muro di difesa, questo non l’ho ancora capito bene, di fatto però quando dovevo andare a trovarla, accompagnato dagli assistenti sociali, mi pesava. Per fortuna c’erano loro Carlo e Alberto che facevano da collante tra me e Vera soprattutto dal punto di vista della comunicazione, davvero mi ero affezionato a loro che mi facevano vivere la cosa con allegria, perchè erano molto simpatici e ora capisco anche competenti.

Il fatto che fossi molto ubbidiente mi faceva svolgere il ruolo di ‘figlio’ in modo impeccabile,  ma lo facevo rimanendo molto indifferente al sentimento che si dovrebbe provare per una che era la mia vera madre naturale, ma piuttosto con il mood: ‘che palle non mi va di parlare con lei al telefono’ aveva la voce rauca, pensavo, e la cosa non mi piaceva. Lei invece quando sapeva che ci dovevamo vedere limitava il consumo per essere lucida, ma intorno a lei c’era degrado, come in casa, dove ricordo la pila dei piatti sporchi vicino al letto e tanto disordine in giro, che mi metteva a disagio.” racconta Luigi.

L’intelligenza della famiglia e degli assistenti sociali che hanno voluto mantenere il rapporto tra madre e figlio è stato per Luigi, sul momento, vissuto come un peso, ma poi ripagato nel lungo termine anche dalla guarigione della mamma.

“Durante l’adolescenza ho continuato a provare indifferenza verso Vera, la mamma che riconoscevo era mia Nonna quindi non ho mai voluto approfondire il rapporto con lei, che consideravo avesse avuto un effetto negativo sulla mia esistenza. Poi all’età di 23 anni un paio di anni fa, ho avuto un cambio di atteggiamento, proprio a seguito di un incontro avvenuto con i miei nonni ed i terapeuti che la stavano trattando. Il fatto di sentire parlare di lei con tenerezza e dello sforzo che aveva fatto per smettere l’uso di sostanze, mi ha dato la sensazione che le cose erano cambiate e che potevo provare a capire chi fosse realmente quella donna, che in passato mi costringevano a vedere”, aggiunge Luigi proseguendo:

“Ho iniziato ad avere un ruolo un po’ più attivo nella vita di Vera, cercando di dire la mia sulla sua vita e la cosa che mi ha colpito di più è stato scoprire quanta influenza avessi su di lei, un’influenza positiva. E’ come se le avessi dato la carica per fare il percorso di cura, come se lei stesse giocando una partita e io fossi negli spalti a tifare per lei dando suggerimenti di ‘gioco’. Forse le è venuta la voglia di dimostrarmi che era una persona diversa. Qualche volta mi irrigidisco ancora e litighiamo,  perché di fondo ancora non mi riesco a scrollare di dosso quel ricordo della volta in cui vidi e percepii tutto d’un botto la disperazione di mia Nonna, quel giorno che incontrò mia madre in strada con le buste ai piedi al posto delle scarpe, sporca ed in preda all’astinenza. Ho provato la disperazione di una madre che vede sua figlia distrutta dalle sostanze”, confida Luigi.

Del futuro Luigi ha un quadro ben preciso: “Mentre prima avevo sempre avuto il timore di dovermi prendere cura di Vera una volta che i nonni non ne fossero più in grado, ora la cosa non mi pesa più e per essere preparato ho iniziato a fare un corso per Operatore Socio Sanitario nell’ambito della dipendenza patologica, pronto all’eventualità. Nei confronti di quella donna che chiamavo solo Vera mi sento più coinvolto emotivamente ora, anche se ancora non è forte il sentimento ma so che crescerà, perché i suoi sforzi per curarsi mi hanno  dato l’idea che potrà avere una vita lontana da centri come Villa Maraini e che potremo passare del tempo insieme di qualità.”, aggiunge Luigi, che conclude:

“Ora la chiamo ‘Madre’, che non è Mamma, visto che quello ancora lo riservo a chi mi ha cresciuto, ma almeno non è più solo Vera.”

 

 

a cura di Stefano Spada Menaglia

Area Comunicazione Fondazione Villa Maraini-CRI