Il racconto della storia di Danilo 36 anni, cocaionomane e abusatore di alcol, visto dal punto di vista della psicologa Giovanna Fiorino del Centro di Prima Accoglienza della Fondazione Villa Maraini.
Danilo si affaccia in Fondazione dopo il suo ultimo ricovero in ospedale per abuso di alcol e cocaina. Ha perso casa e lavoro, era tassista.
Nei primi colloqui Danilo appare da subito estremamente triste, si sente sporco e prova vergogna a mostrarsi in giro, a causa di alcuni punti di sutura sulla fronte causati dall’ultima caduta per via di una sbronza. È distaccato dal resto del gruppo terapeutico in cui è stato inserito al suo arrivo al Centro. Non riesce a dormire perché il suo pensiero è fisso sulla sua vita di prima. L’idea che nessuno dei suoi conoscenti lo riconoscerebbe nello stato in cui è, lo tormenta. Non ritrova più il Danilo di prima, di cui tra l’altro era “innamorato”: sempre abbronzato, brillante, vestito con indumenti firmati, circondato da tante belle donne. Lo sguardo gratificato di quando racconta quel Danilo, è emblematico per capire dove risiede il disturbo, che l’ha portato a diventare dipendente patologico da sostanze.
Ripercorrendo la sua vita passata, non avrebbe mai immaginato di trovarsi nella necessità di dover cercare accoglienza nei centri notturni, oppure peggio, di dover prendere i mezzi pubblici per gli spostamenti in città. Dal suo racconto emerge il suo amore per la vita notturna, dove sente di poter esprimere al massimo la sua creatività: pensare, scrivere.
Le settimane passano e Danilo torna regolarmente al CPA ma con il passare del tempo, alla tristezza e ai rimpianti iniziali per una vita che non può più avere, subentra una grande irrequietezza e una sensazione di forte tensione. Si sente e appare estremamente distratto, confuso e superficiale nel relazionarsi agli altri. Non ascolta, parla e si muove in continuazione. Sembra incapace di relazionarsi al contesto in cui è inserito e fa presente che: “Non riesco a dormire per la gran voglia di vivere, mi sento troppo pieno di idee che non posso realizzare perché devo stare qui. Non vedo l’utilità di quello che faccio al CPA…”
Emerge quindi che non vuole cambiare, è molto innamorato di se stesso e della vita che aveva avuto fino a quel momento fatta di stimoli forti: correre in moto, usare sostanze e alcol per provare lo sballo, riconoscendosi in uno stile di vita sregolata. Il suo mito non a caso è Franco Califano, con cui tra l’altro ha intrattenuto un rapporto di amicizia.
Dall’entusiasmo con cui parla di quelle situazioni passate, è chiaro che non vuole rinunciarvi. L’idea di una vita fatta di continui spostamenti con il suo borsone da un centro di accoglienza notturno all’altro, lo fa sentire povero ed emarginato, generando in lui un senso di disgusto.
La sostanza che più gli manca? La vita che ha sempre fatto: la moto, la spider, i soldi, l’oro, i locali, i vestiti, i profumi, e le nottate con le belle donne. Ama la libertà e il sesso. Le sostanze le ha introdotte, a suo dire, solo per raggiungere la “perfezione”, quindi non lega l’uso di sostanze alla vita che faceva. Non c’è alcun livello di consapevolezza della sua tossicodipendenza. Non vuole assolutamente cambiare nulla di sé. E’ arrivato a rinunciare a persone importanti della sua vita, solo perché gli avevano chiesto di modificare il suo stile di vita. Non riesce ad entrare in rapporto con gli altri ragazzi del gruppo terapeutico, perché li considera dei “drogati sfigati”. A loro volta gli altri utenti trattengono dei sorrisini quando lui parla, perché lo considerano un “principino”, per lo stile ricercato che lo caratterizza, sia nei gesti che nel vestiario, oltre che per la sensazione, che rimanda, di essere su un piano diverso dagli altri. Ma il lavoro terapeutico e il passare del tempo hanno fanno sì che Danilo riesca ad instaurare un rapporto con gli operatori del Centro, basato sulla fiducia. Ha accettato i limiti posti dalla condivisione di uno spazio comune e dalla presenza di regole da rispettare, come per esempio la gestione dei soldi e delle uscite da parte degli operatori. Ha riconosciuto il suo bisogno di eccedere come la modalità disfunzionale, che l’ha condotto poi alla condizione di tossicodipendenza che ora vede chiara davanti a sè. Una volta stabilita la natura del problema, si è potuto impostare, in accordo con il paziente, un primo lavoro terapeutico con l’obiettivo di “recuperarlo” dalla situazione di esaltazione in cui vive, per riportarlo un po’ più sulla “terra” come suggerisce lo psichiatra Binswanger:
“Soltanto dalla terra è possibile una nuova partenza, una nuova ascesa.”